Gli stati membri delle Nazioni Unite si riuniranno il 26 agosto a New York per elaborare un trattato che consentirà di regolamentare e proteggere gli oceani.
Le acque internazionali, oltre le 200 miglia nautiche dalla costa, sono considerate res communis omnium, un bene di tutti e qualsiasi stato ha il diritto di navigazioni o di sorvolo di queste aree.
L’articolo 136 della Convezione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare definisce il suolo e il sottosuolo del mare internazionale, e le risorse ivi contenute, come patrimonio comune dell’umanità.
Nessuno Stato può esercitare la propria sovranità su tale area, che può essere sfruttata solo per scopi pacifici, nell’interesse dell’intera umanità e assicurando la protezione dell’ambiente.
Nonostante questa premesse l’oceano aperto, proprio come tutti i beni comuni, è stato abusato e gestito in maniera sconsiderata fino ad oggi.
Il mondo scientifico e le NGO che si occupano della conservazione dei nostri oceani hanno sollecitato le Nazioni Unite affinché si possa raggiungere un accordo giuridicamente vincolante per proteggere la vita marina e ridurre la perdita di biodiversità.
L’oceano aperto, che si trova al di là delle zone economiche esclusive (ZEE) delle nazioni e costituisce due terzi dell’oceano, svolge un ruolo fondamentale nel sostenere la pesca, fornendo habitat per ecosistemi cruciali per la salute del pianeta e mitigando l’impatto della crisi climatica.
Solo l’1% è protetto.
Cinquanta nazioni si sono impegnate a proteggere il 30% della terra e dei mari del pianeta entro il 2030.
È la seconda volta, quest’anno, che i rappresentanti dei governi si incontrano per provare a raggiungere una intesa ma l’egoismo e gli interessi di alcuni hanno fatto naufragare il tutto.
Centinaia di migliaia di persone hanno firmato petizioni esortando tutte le 193 nazioni a consegnare un trattato forte che proteggerà l’oceano.
Almeno 49 paesi, tra cui il Regno Unito ed i 27 paesi della UE, si sono impegnati a raggiungere un risultato ambizioso nei colloqui.