L’inesorabile declino del delfino del Mekong in Cambogia è un chiaro esempio della crisi globale della biodiversità e delle sfide della conservazione.
Una delle principali cause del suo declino è l’elettropesca, pratica vietata ma utilizzata da molti pescatori di frodo di notte.
Questo tipo di pratica è talmente diffuso che le forze dell’ordine non sono minimamente in grado di arginarlo.
Dal 2006 la Cambogia ha imposto rigide regole per la pesca sul fiume proprio per favorire la popolazione di delfino che tra l’altro è molto popolare e rispettato nel paese.
Molte comunità fluviali, inoltre, sfruttato l’ecoturismo come una parte vitale delle loro entrate e i tour in cerca del cetaceo sono molto richiesti.
Ma la chiusura delle frontiere a causa della pandemia ha costretto non pochi pescatori a misure disperate per nutrire le proprie famiglie e i delfini ne stanno subendo le amare conseguenze.
Questa situazione ha evidenziato un problema comune e a non pochi progetti di conservazione della natura.
Spesso infatti non si considera l’impatto sociale di determinate leggi volte alla salvaguardia di un ecosistema o di una specie senza direzionare fondi sufficienti anche ad uno sviluppo socioeconomico sostenibile delle popolazioni che vivono nelle aree oggetto della salvaguardia.
Questo può andare bene fino a quando, come in questo caso, non si presentano situazioni che cambiano le carte in tavola e che rischiano di azzerare i pur mirabili sforzi intrapresi.
Al giorno d’oggi è vitale un approccio multidisciplinare per evitare errori e perdere tempo prezioso nel contrasto alla perdita di biodiversità in atto.