Reti Ecologiche e Parchi Urbani

Le reti ecologiche sono la grande svolta nella conservazione della natura compiuta a partire dagli anni ’90. Le scoperte dell’ecologia del paesaggio e di biogeografia degli anni precedenti avevano dimostrato che se pur necessari i grandi parchi nazionali non sono sufficienti a preservare le specie, in particolar modo quelle ad ampio home-range  (spazio vitale). Si è quindi suggerito di collegare tra loro le aree protette, realizzando una struttura articolata, composta da nuclei funzionali (le aree protette), zone tampone (per proteggere i nuclei funzionali dalla matrice antropizzata del territorio) e elementi di connessione (corridoi e aree puntiformi o sparse). Queste strutture, definite appunto reti ecologiche territoriali possono essere pianificate su scale spaziali differenti, da continentali a livelli più ridotti di regione o provincia.
I parchi urbani possono avere un ruolo interessante all’interno di una rete ecologica. Pur non essendo strutture idonee per la conservazione di specie di grandi dimensioni con un grande valore conservazionistico (grandi mammiferi carnivori ad esempio), se ben gestiti o progettati sono in grado di ospitare numerose specie di pipistrelli, uccelli, rettili e anfibi (oltre che insetti o piante). All’interno di una rete ecologica articolata e complessa i parchi urbani possono essere delle aree puntiformi o sparse per alcuni di questi animali svolgendo un ruolo essenziale anche per specie migratorie.
Inoltre la presenza di animali selvatici (in modo particolare uccelli canori) aumenta la fruibilità di queste aree, suscitando un maggiore interesse da parte della cittadinanza. Nella realtà di urbanizzazione spinta che caratterizza buona parte dei territori di pianura e costieri italiani è in aumento anche la pressione antropica nelle aree protette (sotto forma di richiesta di fruizione di aree verdi). Parchi urbani ben progettati, attraendo le persone sono una valida alternativa per la naturale richiesta di verde ricreativo degli abitanti delle città.
Si possono individuare due gruppi di specie animali in ambiente urbano. Le prime sono specie originarie della regione, specie autoctone, le altre sono specie introdotte volontariamente o involontariamente dall’uomo, specie alloctone, ne sono un esempio lo scoiattolo americano, le tartarughe di acqua americane, il gambero rosso della luisiana e le nutrie). Nell’ottica della conservazione della natura occorre concentrare gli sforzi sul primo gruppo, ed eventualmente gestire le specie alloctone spesso anche invasive in modo tale da evitare che rappresentino un rischio per quelle autoctone. Poco tempo fa una ricerca condotta nei parchi urbani di Milano e di Bari, progetto europeo LIFE – EMONFUR ha mostrato come area, distanza dal centro e percentuale di copertura forestale possano influenzare il numero di specie di uccelli nidificanti presenti nei parchi urbani. Più il parco è grande, più è vicino a un territorio non urbanizzato, maggiore è la sua eterogeneità ambientale, maggiore è il numero di specie che ci si può aspettare di trovare. In particolare questa ricerca ha evidenziato come nella città di Milano il Parco Nord e il Parco delle cave siano due autentici gioielli, il primo, grazie alle sue estese e varie superfici forestali, mentre il secondo grazie alla presenza di superfici d’acqua che attirano diverse specie acquatiche. Sempre nello stesso studio si evidenzia come invece la tipologia e struttura forestale influenza l’abbondanza delle singole specie. Ci sono più cinciallegre o verzellini dove gli alberi sono più grandi ad esempio. Utilizzando informazioni di questo genere è possibile pianificare e progettare aree verdi urbane, in cui coniugare la presenza dell’uomo con quella delle specie selvatiche.
Marcello Zorzi

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